
di Diego Giachetti
LA TRAGICA CONCLUSIONE DELL’ ESPERIENZA DI UNIDAD POPULAR IN CILE
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“Questo è un governo di merda, ma è il nostro governo”
Questa scritta che campeggiava su un cartello tenuto da un operaio di Santiago nel corso di una manifestazione a favore del governo esprimeva sinteticamente l’atteggia-mento di ampi strati popolari nei confronti di Unidad Popular. Il proletariato cileno aveva vissuto l’ affermazione di Unidad Popular come la vittoria delle forze popolari, dei contadini, degli operai, dei sottoproletari contro quelle conservatrici interne e internazionali.
La politica riformatrice del nuovo governo ebbe degli effetti positivi sui lavora-tori. I salari aumentarono, a secondo dei settori, dal 35 al 66 %. Attraverso il blocco delle tariffe dei beni di prima necessità (pane, latte, vestiti, affitti) si tentò di limitare le conseguenze dell’inflazione. Nel giro di due anni la disoccu-pazione scese dall’8 al 3 %; in questo periodo vennero creati 300000 nuovi posti di lavoro.
I miglioramenti per le classi popolari erano reali, tuttavia cominciavano ad emergere una serie di contraddizioni di fondo nell’azione riformatrice del governo. La borghesia e i monopoli statunitensi conservavano posizioni di forza a livello del potere legislativo, in parlamento; se inizialmente la DC cilena si era orientata a rispettare il risultato elettorale e a cercare di condizionare dall’esterno il governo, successivamente, alleandosi con la destra cominciò a condurre una vera e propria azione di ostruzionismo che bloccava e impediva l’attività governativa. Inoltre, accanto al controllo del potere giudiziario, la borghesia e i suoi partiti avevano il controllo quasi esclusivo dei grandi mezzi di comunicazione. Infine, molti settori economici, determinanti per la vita del paese, restavano in mano ai privati come l’industria della carta e della cellulosa, le raf-finerie dello zucchero, il commercio all’ingros-so, la distribuzione del combustibile i trasporti. Soprattutto questi ultimi, in un paese geograficamente configurato come il Cile, erano destinati a giocare un ruolo importante. Lo sciopero degli autotrasportatori contro il governo riuscì a paralizzare l’intera vita economica bloccando la distribuzione dei generi alimentari e dei prodotti e il riforni-mento di materie prime e di combustibile alle industrie.
La presenza sul mercato di ingenti quantità di capitale finanziario, frutto degli indennizzi che il governo aveva versato ai capitalisti espropriati, determinava un processo inflazionistico e speculativo, poiché essi non erano reinvestiti in attività produttive. A questo si aggiungevano le difficoltà create dal boicot-taggio del commercio del rame, principale risorsa del paese, da parte dell’imperialismo statunitense.
La stessa riforma agraria non era priva di contraddizioni. La distribuzione della terra ai contadini in mancanza di una loro reale partecipazione alla gestione collettiva dei terreni e di una disponibilità di strumenti di produzione moderni, portò alla parcellizzazione della proprietà e ad un calo della produttività agricola che aggravò la penuria alimentare.
L’epilogo
Il governo affrontava la difficile situa-zione economica e politica moderando i toni della sua azione riformatrice, cercando di trovare un accordo con la DC e provando a coinvolgere i militari nella difesa delle istitu-zioni e delle riforme. Una ricerca e una disponibilità che si riveleranno vane e inutili. I partiti di opposizione erano passati ormai al boicottaggio aperto. In Parlamento respinge-vano importanti provvedimenti governativi come l’istituzione dei tribunali di quartiere, la riforma costituzionale per creare una camera unica; contemporaneamente, per favorire la bancarotta del governo, approvavano leggi senza la copertura finanziaria facendo aumentare il tasso di inflazione.
L’inaffidabilità dei militari si mani-festava in due occasioni: il 29 maggio del 1973 veniva sventato un tentativo di golpe da parte dei reggimenti corazzati di Santiago e ai primi di agosto un analogo tentativo abortiva a Valparaiso. Parallelamente gli autotrasportatori, i commercianti, professionisti e altre categorie scendevano in sciopero contro il governo contrastati dai lavoratori che creavano propri organismi di autodifesa e di auto-organizzazione. Si susseguivano occupazioni delle fabbriche e dei latifondi, scioperi violenti con barricate e scontri. Gli operai volevano espropriare le fabbriche e i settori ancora in mano ai privati, mentre i contadini davano una loro interpretazione estensiva della riforma agraria.
Lo scontro diventava inevitabile. La borghesia era ormai decisa a porre fine ad un’esperienza che rischiava di sfuggirgli completamente di mano. Era rimasta impres-sionata e spaventata dalla risposta dei lavora-tori al fallito tentativo di golpe del 29 giugno, quando un migliaio di fabbriche erano state occupate dagli operai i quali, valorizzando gli strumenti di democrazia proletaria costituiti dai cordones industriales, organizzarono il control-lo della produzione, la loro difesa e proclama-rono la volontà di non restituire ai proprietari le fabbriche.
Dopo che il governo Allende aveva dimostrato di non voler capitolare “pacificamente” e visto che il movimento di massa non rifluiva, anzi si caratterizzava sempre più per il suo protagonismo sociale e politico, rivendicando il diritto all’autodifesa e all’armamento contro la reazione, alla borghesia non restava che tentare la strada del golpe militare e della repressione sanguinosa.
Dittatura e liberismo sfrenato
Subito dopo il golpe veniva abolito lo stato presidenziale disciplinato dalla Costitu-zione del 1925, sciolta la Camera dei deputati e il Senato, soppressi i partiti politici e le libertà civili; tutti i poteri venivano assunti dalla giunta militare di governo. Nel 1981 entrava in vigore una nuova costituzione (modificata successivamente col referendum del 1989) e si ritornava ad un regime di tipo democratico. Anche la precedente impostazione economica e sociale veniva immediatamente rovesciata. I militari imboccarono una politica decisamente liberistica, mediante lo smantellamento delle protezioni doganali, l’apertura di vaste opportunità per le iniziative finanziarie straniere, la riprivatizzazione di tutte le società nazionalizzate, nonché il pagamento di cospicui indennizzi alle compagnie straniere che precedentemente avevano operato in Cile. Furono altresì restituiti ai precedenti proprietari i latifondi già espropriati e sciolte le cooperative agricole. La liberalizzazione pressoché totale delle importazioni provocava la generale rovina della piccola industria locale, a basso livello tecnologico e incapace di reggere la concorrenza internazionale, mentre faceva prosperare le iniziative delle multinazionali, attirate dalla presenza di un’abbondante manodopera sottopagata.
Profondi tagli alla spesa pubblica eliminavano le riforme in campo assistenziale e sociale varate al tempo di Allende. L’inflazione si manteneva a livelli molto elevati e il peso veniva svalutato. Nel 1983 i salari erano scesi del 50% rispetto al potere d’acquisto dei tempi del governo di Unidad Popular.
Diego Giachetti