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“Mi scappa da pisciare ….. ma non posso lasciare la linea e la pausa è fra tre quarti d’ora. Certo potrei fuggire andando al bagno in fondo alla linea, ma quello è per l’altra squadra, io devo andare in quello della mia che è dall’altro lato del capannone, e se mi beccano sono cazzi.

Il tempo è passato, la vescica ha resistito. Ma è stata dura perché il tempo passa lentamente, come sempre come quando stai seduto alla linea di montaggio … e già va meglio rispetto a qualche settimana fa, dove lo sgabello non c’era e lavoravo in ginocchio. Ero incazzato nero per questo, ma quando mi lamentavo con il team leader ( li chiamano così i capetti disposti a tutto per emergere) mi sentivo rispondere :”Non ti va bene? Ce ne sono ancora un sacco di persone in cassa che vorrebbero il tuo posto!”. Mi guardavo intorno, cercavo qualcuno con cui condividere questo disagio, ma niente … gli sguardi si abbassavano e le facce si giravano dall’altra parte.

Alla macchinetta del caffè, durante i dieci minuti di pausa, mi si avvicina Franco, un vecchio compagno di lavoro: siamo entrati insieme in fabbrica quasi trent’anni fa, ed ora, alla soglia dei cinquant’anni siamo ancora qui a fare camminare questa linea maledetta …. perchè saranno anche passati gli anni ed il progresso tecnologico sarà avanzato ma per noi la situazione è tornata indietro di secoli.

Mi racconta che dopo otto ore di lavoro arriva a casa e non sente più le braccia da quanto gli fanno male e che il suo team leader è incazzato con lui e con altri lavoratori della selleria perché non si fermano per fare straordinario … mi ha anche detto che un giorno gli ha urlato che era pentito di averlo fatto tornare al lavoro, che poteva chiamare qualcun altro più disponibile.

Ma neanche questi aguzzini se la passano bene, qualcuno è già andato in ospedale con la tachicardia perché il capofficina li bastona chiedendo “Più pezzi, più pezzi”, ed un altro si è portato via mezzo dito perché, invece di guardare quello che faceva mentre usava un trapano con i guanti, cronometrava quanto tempo ci mettevano gli operai ad incollare delle imbottiture.

E’ suonata la campanella che ci richiama a lavoro … abbiamo un minuto per ritornare sul posto che occupiamo sulla linea prima che scattino i richiami. Domani però i delegati sindacali hanno indetto un’assemblea, e gira voce che vogliano proclamare uno sciopero…se è così io lo farò, e tanto peggio per chi non capisce che questo metodo (metodo Marchionne lo chiamano) è fatto solo per farti sentire un numero e non un uomo. Questo metodo serve solo a distruggerti nel fisico, con una fatica inumana, e nello spirito, con la paura di tornare fuori dalla fabbrica, in cassa integrazione.

Ma quale paura, fanculo la paura, fanculo Marchionne e fanculo chi faceva il tifo per lui.

 

Nota dell’autore: Tutto quello riportato sopra NON è mera opera di fantasia ma la realtà quotidiana di qualche migliaio di lavoratori/trici del comparto automotive. Se leggendolo avete provato rabbia sappiate che la condizione di quei lavoratori/trici è questa, sei giorni la settimana per 8-10 (e alle volte 12) ore.Alcuni che invitavano a votare SI al referendum sul contratto di primo livello a Mirafiori NON reggerebbero nemmeno un paio d’ore a questi ritmi di lavoro e a queste pressioni psicologiche.

 

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