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28 Novembre 2013  Anticapitalista.org    Lavoro e Sindacato  

 

Alcune prime riflessioni sulle “cinque giornate” di Genova

di Aurelio Macciò, del Coordinamento nazionale di Sinistra Anticapitalista

Dopo le convulse “cinque giornate” di Genova, è possibile cominciare a trarre qualche bilancio e aprire alcune prime riflessioni. Nella convinzione che i tanti aspetti e le contraddizioni di questa lotta, con gli insegnamenti che se ne possono trarre, meriteranno altri ulteriori approfondimenti, tanto più alla luce del fatto che la battaglia di contrasto alle privatizzazioni, anche in sede locale, è tutt’altro che conclusa, e che l’applicazione dello stesso accordo sindacale raggiunto, nelle sue parziali acquisizioni, comunque temporanee e tutte da consolidare, come al contempo nei suoi limiti e nei suoi veri e propri punti negativi, richiederà attenzione e capacità di mantenere un’alta mobilitazione anche nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

 

I tranvieri di Genova hanno saputo osare

Per prima cosa, vanno ringraziati tutti i lavoratori e le lavoratrici dell’AMT di Genova.

I tranvieri di Genova hanno saputo osare e per ben cinque giorni di fila hanno “disobbedito” alla legge antiscioperi e resistito alla precettazione che gli imponeva il Prefetto.

Si tratta di un messaggio importantissimo lanciato alle masse popolari di questo paese: è possibile non chinare la testa, uscire insieme dalla rassegnazione, aprire un’altra prospettiva rispetto alle imperanti politiche di austerità.

Di più, questa lotta ha indicato alle classi popolari che è possibile tenere insieme elementi, in questo caso difesa delle condizioni salariali e di lavoro e difesa dei beni comuni, che invece spesso i nostri avversari di classe tendono a dividere se non a contrapporre (ambiente/lavoro; salute/lavoro; lavoratori/utenza; ecc.). Anzi, come sappiamo, teorizzazioni che vanno nella direzione della contrapposizione sono emerse in forme diverse anche all’interno dei movimenti sociali e dello stesso movimento operaio (reddito/lavoro; precari/garantiti; ecc.).

Va detto poi che un insegnamento di tipo generale che possiamo trarne è quello sulla vacuità di teorie sulla “fine del movimento operaio” o altre simili.

E’ bastato che in una grande città un po’ più di 2.000 lavoratori e lavoratrici, tipicamente “novecenteschi”, si muovessero nella maniera determinata che abbiamo visto perché il loro messaggio diventasse un’indicazione concreta di rivolta e ribellione al potere e per lo spostamento di rapporti di forza. Ciò è determinato dalla forza strutturale e contrattuale che, al di là degli attuali livelli di coscienza di questa forza, la classe lavoratrice ha, nella possibilità di bloccare gli ingranaggi del sistema produttivo, in questo caso nella produzione di servizi, forza che se esercitata consente immediatamente di indicare una prospettiva generale e di raccogliere intorno a sé altri comparti e settori delle masse popolari.

La forma di lotta che si è concretizzata, lo sciopero generale a oltranza o comunque prolungato, con le decisioni che vengono assunte nell’assemblea dei lavoratori, è un’altra forte indicazione che dovrebbe diventare punto di riferimento, anche rispetto agli “scioperini” a cui siamo abituati. Questa forma di lotta è però possibile se vengono strutturate e consolidate vere e proprie casse di resistenza, altrimenti prima o poi non riesce a durare nel tempo. Le casse di resistenza esistono nella tradizione sindacale di altri paesi, ma sono al di fuori della cultura sindacale del nostro paese. E’ una questione che invece andrebbe introdotta e fatta pesare nel dibattito delle diverse organizzazioni sindacali in Italia. Recentemente, solo nella FIOM è stata aperta una riflessione in tal senso, ma senza molta fortuna.

La lotta ha parzialmente coinvolto anche lavoratori di altre aziende. Sia nell’occupazione della sala del Consiglio comunale nella giornata di martedì, ma poi anche, a tratti, nello sciopero. I lavoratori di ASTER, l’azienda comunale che si occupa di manutenzioni stradali, verde pubblico e illuminazione pubblica, hanno anch’essi scioperato per una intera giornata, quella di giovedì, così come quelli di alcune sezioni di AMIU hanno scioperato alcune ore per turno, e poi nella loro assemblea generale di venerdì hanno “trascinato” le loro rappresentanze sindacali in corteo, portando la loro protesta contro la privatizzazione fino a sotto la sede municipale di Palazzo Tursi.

Certo, non è stato sufficiente, soprattutto per i limiti delle rispettive direzioni sindacali, ma comunque i lavoratori hanno sperimentato, pur parzialmente, un’importante connessione tra diverse aziende e comparti che pure hanno condizioni contrattuali di riferimento diverse, ritrovandosi contro il nemico comune delle privatizzazioni.

Una buona parte della popolazione genovese ha simpatizzato con i tranvieri. La simpatia e la pazienza nel sopportare il disagio della mancanza di trasporti collettivi in città sono certamente segnali positivi che però non sono riusciti a tradursi ulteriormente in attestati concreti ed effettivi di partecipazione alla lotta. Anche tra gli studenti vi è stato scarso coinvolgimento di adesione alla lotta dei lavoratori AMT. E la stessa, pur meritoria, attività delle associazioni e dei comitati raccolti intorno al Forum genovese dei Beni Comuni non ha saputo produrre iniziative visibili sul territorio.

 

L’amaro in bocca lasciato dall’assemblea conclusiva di sabato

La gestione e soprattutto le modalità conclusive dell’assemblea di sabato hanno lasciato l’amaro in bocca. Rispetto alla capacità dell’unità dal basso che si era fortemente affermata in modo straordinario nei giorni precedenti, hanno prevalso invece stanchezze e tensioni, tanto più amplificate da una gestione confusa e pasticciata delle direzioni sindacali, in particolare di chi, come la FAISA, sindacato autonomo di categoria collegato alla CISAL e che in azienda è il sindacato maggioritario (844 iscritti), ha particolarmente osteggiato altre possibili modalità di votazione.

La votazione ha quindi assunto modalità francamente grottesche.

Sicuramente, rispetto alle aspettative e anche al coinvolgimento emozionale, per una parte dei lavoratori l’accordo non corrisponde a quanto si ritiene di aver “speso” in questa lotta.

Altri elementi andrebbero poi considerati. Ad esempio, in AMT non esiste una RSU, cioè una rappresentanza sindacale eletta democraticamente da tutti i lavoratori, alla cui elezione si è sempre dimostrata contraria in particolare la FAISA, ma senza sostanziali opposizioni da parte degli altri sindacati, compresa la FILT CGIL, che in azienda è il secondo sindacato con 476 iscritti.

E nemmeno è stato nominato, in questa occasione, un comitato unitario di sciopero che rispondesse all’assemblea dei lavoratori e agisse su suo mandato.

Va inoltre ricordato che accordi vigenti in azienda garantiscono scandalosamente al sindacalista distaccato che ritorna in produzione uno scatto di qualifica e quindi di livello retributivo.

 

L’accordo sindacale: parziali acquisizioni, ma temporanee e tutte da consolidare, insieme a limiti e aspetti negativi.

Vediamolo allora questo accordo, nei suoi dettagli.

1.

Intanto, va indicata una premessa. Recentemente, il Consiglio regionale della Liguria ha approvato una nuova Legge regionale, la n. 33/2013, sul trasporto pubblico locale (TPL) che ha ridisegnato questo settore, individuando un solo bacino unico a carattere regionale. Ciò ridislocherà le questioni a un altro livello, perché oggi AMT ha l’affidamento del servizio in ambito esclusivamente comunale, mentre nel resto del territorio provinciale genovese e nelle altre province liguri operano altre aziende e sono in vigore altri assetti.

L’acquisizione che viene raggiunta nell’accordo, per cui è “espressa volontà del Comune di Genova” arrivare con una AMT pubblica all’appuntamento dell’applicazione del nuovo assetto regionale, applicazione che comunque è tutta da definire, è quindi un punto forte e di non poco conto, rispetto alla precedente volontà espressa dal Comune, ma allo stesso tempo è parziale, nella sua estensione temporale, dato il quadro in evoluzione.

Pertanto l’ipotesi di privatizzazione non è certamente bloccata, ma è stata comunque almeno fermata. Noi pensiamo che questo dato, la fermata nell’iter della privatizzazione, pur nella sua relatività temporale, vada valorizzato, anche per poi riuscire meglio a consolidarlo.

L’indirizzo strategico della privatizzazione di AMT era stato già definito dalla maggioranza di centrosinistra del Consiglio comunale il 31 luglio dello scorso anno, con una Delibera in cui si dava “mandato alla Giunta perché predisponga gli atti necessari alla cessione ad operatori terzi del settore di una quota significativa in A.M.T. S.p.a.”. Da notare che quello di Genova, con la sua maggioranza di centrosinistra, era il primo Consiglio comunale di una grande città che deliberava in tal senso appena una decina di giorni dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ribadiva la necessità del rispetto della volontà popolare che si era espressa nel referendum sull’abolizione dell’obbligo della vendita di almeno il 40% del pacchetto azionario delle Società di servizi pubblici locali, e non solo per quelle che gestiscono l’acqua, dichiarando l’incostituzionalità di alcune norme legislative introdotte dopo il referendum del giugno 2011 dai governi Berlusconi e Monti.

Per dare applicazione a quanto deliberato, la Giunta decideva, con Delibera del 24 gennaio di quest’anno, di avvalersi della consulenza di un advisor finanziario per una valutazione e una “valorizzazione” della Società AMT. Nel frattempo, nelle settimane scorse si è venuto a sapere, attraverso indiscrezioni di alcuni giornali locali, che la relazione dell’advisor è stata consegnata al sindaco e all’Amministrazione comunale, e i giornali cittadini riferivano che la relazione indicava la necessità della cessione a privati di una quota addirittura maggioritaria del pacchetto azionario.

E d’altronde nello stesso programma elettorale del sindaco Marco Doria veniva individuata la necessità “di trovare un partner industriale … con caratteristiche tali da garantire un valore aggiunto sia economico sia normativo”.

Soltanto pochi giorni prima delle “cinque giornate”, in una riunione della maggioranza di centrosinistra, presenti il sindaco, assessori comunali competenti, capigruppo consiliari e segretari di partito, due erano state le diverse ipotesi che si erano confrontate, su cui si sarebbe dovuto scegliere a breve: o la cessione a privati di una quota maggioritaria della Società (più caldeggiata dal PD) o un ulteriore “sacrificio” economico per i lavoratori, fino anche alla rescissione del contratto integrativo aziendale (più caldeggiata dal sindaco). Nella discussione SEL aveva posto una “barriera” (!?!), quella della vendita di un massimo del 49% della Società, e lanciato l’idea, piuttosto balzana, oltre che difficilmente realizzabile, di un azionariato popolare, come se una sorta di “azionariato popolare” non fosse già in vigore, attraverso l’imposizione fiscale generale, e dato il fisco ineguale che vige in Italia, a danno di lavoratori e pensionati.

Oggi, invece, Simone Farello, il capogruppo del PD in Consiglio comunale, deve ammettere a “Il Secolo XIX” che «L’accordo su AMT … cambia la linea del Comune sul trasporto pubblico (quella sancita dalla delibera approvata in sala Rossa nel luglio 2012 che prevede la “cessione di quote significative” dell’azienda trasporti, ndr). E, quindi, adesso deve essere messo nero su bianco in un documento da votare in consiglio comunale». Non ci sembra un risultato da buttar via.

2.

La Regione si è impegnata all’acquisto nel prossimo quadriennio di almeno 200 mezzi, oltre che di altri 180 nel restante territorio ligure, garantendo così un miglioramento del servizio ma anche una diminuzione degli oneri a carico di AMT per le manutenzioni. Si tratta di un investimento di carattere strutturale, il cui pacchetto complessivo è valutato in 75 – 80 milioni di euro, e di una iniezione che irrobustisce l’azienda, con un parziale rinnovo del vetusto parco mezzi,.

3.

Vengono esclusi interventi sul complesso delle retribuzioni, fisse e variabili, sulle condizioni normative e sull’orario dei lavoratori. Rispetto ai precedenti accordi sindacali dell’ottobre 2012 e del maggio 2013, si tratta di una inversione di tendenza. Già nel referendum sull’accordo di maggio, solo il 53% dei lavoratori aveva approvato l’accordo stesso. Un fortissimo segnale di allarme per le direzioni sindacali in azienda, che sapevano che non avrebbero retto a una proroga o addirittura un inasprimento di tagli al salario e ai diritti dei lavoratori, e che quindi hanno “dovuto” assecondare la rabbia e la volontà che si è espressa fra i lavoratori nell’assemblea del lunedì sera, quando fu deciso il blocco totale dell’uscita degli autobus per la mattina dopo.

E veniamo alle spine dell’accordo.

4.

Il disavanzo previsto nel conto economico previsionale per il 2014 ammonta a 8,3 milioni di euro.

L’azienda e il Comune si impegnano a reperire risorse per 4,3 milioni di euro attraverso non meglio precisate “azioni opportune”. Quali saranno, nell’ambito dei tagli che sappiamo subisce tutto il sistema degli Enti locali? Si tratta di una prima preoccupazione, che dovrebbe suggerire l’organizzazione, a livello sindacale e di mobilitazione sociale in città, di un attento controllo al riguardo, anche perché non vengano messi in concorrenza bisogni popolari e settori di lavoratori diversi. Già si parla di corrispettivi tagli nel campo dei servizi sociali oppure nel contratto di servizio per ASTER …

5.

La quota rimanente, 4 milioni di euro, andrà ottenuta “attraverso strumenti di riorganizzazione aziendale …, agendo anche su un aumento delle quote di attività da affidare in subappalto”. Dovrebbe essere costituito, probabilmente già dalla prossima settimana, un apposito tavolo di contrattazione che, appunto senza decurtazioni di salario e orario, individui entro il 31 dicembre come reperire questi 4 milioni. E’ sicuramente l’elemento più negativo dell’accordo, perché invece della privatizzazione della società che è stata fatta uscire, almeno per ora, dalla porta, si rischia che entri dalla finestra la privatizzazione di alcune linee o comunque la esternalizzazione di alcune attività. Ovviamente, anche qua andrebbe attivato un attento controllo e una opportuna mobilitazione, sia per far tendere a zero l’ “aumento delle quote di attività da affidare in subappalto” e sia comunque perché non sarà indifferente la qualità e la quantità di quali potranno essere le attività in subappalto e a chi saranno affidate. Per fare un esempio, un conto sarà affidare linee periferiche e collinari a una qualsiasi azienda privata oppure, viceversa, affidarle ad APT, l’azienda di trasporti provinciale, che almeno per ora è interamente pubblica, i cui lavoratori hanno però un contratto integrativo economicamente inferiore a quello vigente in AMT.

6.

E’ vero che con l’accordo l’Azienda si impegna a non richiedere alcun risarcimento ai dipendenti né ad avviare procedimenti disciplinari. Ma resta il pesantissimo problema delle sanzioni (tra i 250 e i 1.000 euro) comminate dal Prefetto ai singoli lavoratori per la mancata risposta alle precettazioni, le possibili sanzioni (tra i 2.500 e i 50.000 euro) per le quattro Organizzazioni sindacali (FAISA, FILT, FIT CISL e UIL Trasporti) che venissero individuate come “colpevoli”, su cui l’Autorità di garanzia per gli scioperi ha già deliberato l’apertura di un procedimento di valutazione, nonché l’avvio di indagini della magistratura per i fatti relativi all’occupazione del Consiglio comunale, per i blocchi stradali, ecc.

Non era possibile, in un accordo sottoscritto in Prefettura, impegnare in qualche modo le controparti a un’azione di rimozione di tutte o almeno in parte queste sanzioni da parte dell’apparato dello Stato?

Comunque, è evidente che su questi aspetti deve attivarsi la più ampia solidarietà, innanzi tutto perché non vengano comminate queste sanzioni e poi per una concreta e fattiva solidarietà economica. Questo aspetto della vicenda va ben oltre il suo carattere di vertenza sindacale.

 

Una vittoria o una sconfitta?

Così come sarebbe sbagliato enfatizzare le acquisizioni contenute nell’accordo, appunto perché di carattere temporaneo e tutte da consolidare successivamente, allo stesso modo sarebbe improprio parlare di sconfitta. I lavoratori hanno sperimentato la loro forza, e nel prossimo futuro non sarà facile riproporre percorsi di privatizzazione. Sia per quanto riguarda AMT sia per ASTER e AMIU, anche se per questa azienda la Delibera approvata dal Consiglio comunale nella tarda serata di giovedì individua “l’opportunità di acquisire la partecipazione, non maggioritaria, di un partner al capitale sociale”. Per contrastare questo progetto, ricordiamo comunque che per il prossimo 6 dicembre è programmato uno sciopero per l’intera giornata in AMIU.

Soprattutto, sarebbe sbagliata una lettura del percorso di questi giorni che producesse scoramento, frustrazione e sentimenti tali per cui “tanto non è cambiato nulla”.

Dopo le “cinque giornate” di Genova, adesso si apre un’altra fase. La partita non si è chiusa né con una vittoria né con una sconfitta. E il campionato è ancora lungo…

 

La conferma di un centrosinistra avversario dei lavoratori

Il Consiglio comunale di Genova ha infine approvato giovedì, in tarda serata, la Delibera sulle privatizzazioni delle aziende controllate dal Comune (AMT, AMIU, ASTER, Farmacie Genovesi, Bagni Marina). Lo ha fatto in un’atmosfera surreale, a porte chiuse, asseragliato nel palazzo Tursi a cui era stato chiuso l’accesso, con reparti di polizia nel cortile, dietro il portone blindato, in spregio alle mobilitazioni dei lavoratori che attraversavano la città.

Era la prima volta nella storia che si dava corso a Genova a una seduta del Consiglio comunale a porte chiuse. A tanto è arrivato il centrosinistra e il suo sindaco Marco Doria, quel sindaco la cui parola più (ab)usata nella campagna elettorale dello scorso anno era stata la parola “partecipazione”.

La vergogna della Giunta e della sua maggioranza di centrosinistra è massima. Le dichiarazioni di questi giorni contro i lavoratori e i sindacalisti “irresponsabili”, definiti “eversivi” dal PD e addirittura “squadristi” in un’allucinante presa di posizione di SEL, la consigliera della Lista Doria che critica il Prefetto (!?!) per non aver fatto sgomberare l’aula del Consiglio comunale occupata dai lavoratori, tutto ciò certifica la distanza ormai abissale del centrosinistra dalle ragioni e dai bisogni dei lavoratori.

Dopo l’accordo, il sindaco è arrivato a sostenere che l’intenzione dell’Amministrazione comunale non è mai stata quella di privatizzare AMT. Già più sopra abbiamo ricordato quanto il Consiglio comunale aveva già approvato il 31 luglio dello scorso anno e quanto contenuto nel programma elettorale del sindaco. Mente sapendo di mentire.

Tutto quanto conferma, se era necessaria una conferma, quanto il centrosinistra sia un avversario di lavoratori e lavoratrici.

Genova, 26 novembre 2013

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