
1° dicembre 1971. Risoluzione del Comitato Esecutivo della IV Internazionale
ANALISI E PROSPETTIVE DELLA SITUAZIONE POLITICA IN CILE
Premessa
Il documento del dicembre 1971 traccia una compiuta analisi della situazione cilena un anno dopo l’affermazione elettorale delle sinistre, inquadrandola nel più generale contesto dell’America Latina, a partire da considerazioni sulla strategia dell’imperialismo americano dopo l’affermazione dalla rivoluzione cubana. La situazione cilena è colta nella sua dimensione interna e internazionale. Si mettono in evidenza le ragioni del successo elettorale delle sinistre, la mobilitazione delle masse popolari, il mutare dei rapporti forza tra le classi. Si sottolineano i pericoli –reazionari borghesi – che tale processo può indurre. La classe dominante non è sconfitta, occorrono misure atte a rafforzare il potere popolare e a indebolire quello padronale. Indugiare nella trattativa con la borghesia e le sue forze vuol dire solo concedere tempo all’avversario. La situazione cilena è a un punto cruciale, la borghesia e l’imperialismo americano non assisteranno passivamente al processo in atto, non si lasceranno espropriare le ricchezze col loro consenso. La strategia riformista è messa alla prova e rischia di fallire se non compie il salto della rottura rivoluzionaria.
Quattordici mesi fa, in seguito ai risultati delle elezioni del 4 settembre 1970 e all'accordo concluso tra i partiti dell'UP e della Dc, Salvatore Allende diventava presidente del Cile e formava un governo di fronte popolare. Era un avvenimento di enorme importanza, di fronte al quale tutte le forze in campo, nel paese e nel continente americano, dovevano definirsi, e che appariva come la pietra di paragone delle concezioni e degli orientamenti delle differenti correnti del movimento operaio. L'esperienza cilena, in particolare modo, è seguita, nel mondo intero, come un test dell'efficacia della via elettorale, parlamentare e pacifica verso il socialismo.
Nella fase attuale, la crisi sociale e politica cilena diviene sempre più acuta, nel quadro di vigorose mobilitazioni delle opposte forze. In particolare, dopo la sconfitta subìta dalle masse boliviane nell'agosto scorso, è in Cile che si pone l'epicentro delle contraddizioni e della lotta in America Latina. È dunque d'obbligo per i marxisti rivoluzionari compren-dere la natura degli avvenimenti, cogliere le tendenze che si sviluppano e le prospettive che si profilano, definire senza ambiguità alcuna la loro posizione e mettersi in condizioni di intervenire attivamente.
La vittoria della rivoluzione cubana –che coincise con la crisi irreversibile dei movimenti nazionalisti rivoluzionari borghesi e piccolo-borghesi che avevano segnato tutta una tappa della lotta politica in numerosi Paesi latino-americani– condusse l'imperialismo americano e le classi dominanti indigene a riesaminare i loro orientamenti. Da una parte gli imperialisti accentuarono la loro prepara-zione militare, mirante a far fronte all'eventuale pericolo di lotte rivoluzionarie stimolate dall'esempio cubano, dall'altra essi tentarono una svolta riformista, il cui scopo era di rinforzare certi settori economici considerati come i più dinamici, di favorire uno sposta-mento, a favore degli strati borghesi “nuovi”, dei rapporti di forza in seno alle classi domi-nanti, di allargare, per quanto possibile, la base di massa del sistema.
Questo tentativo –al quale del resto Wahington concesse solo risorse irrisorie nel quadro della cosiddetta Alianza para el progreso– si concluse con una totale sconfitta. In questo contesto le esperienze riformiste o tendenzialmente riformiste (per es. Goulart in Brasile, Belaunde-Terry in Perù) o furono soffocate prima di nascere, o fallirono rapida-mente. Una delle conseguenze di questa situa-zione fu il moltiplicarsi di regimi militari, il più delle volte reazionari, e la tendenza a sostituire con un intervento sempre più ampio dell'eser-cito il funzionamento dei meccanismi politici tradizionali incapaci di venire a capo dei loro compiti.
La dittatura dei “gorilla” brasiliani è stata una delle varianti adottate per instaurare un equilibrio politico relativo e per rilanciare l'economia grazie ad un accresciuto sfruttamento della classe operaia e dei lavora-tori più in generale. L'altra variante è stata quella di un nuovo impulso riformistico, mirante a rilanciare una modernizzazione e razionalizzazione delle strutture economiche e sociali, ad imporre nuovi equilibri all'interno delle stesse classi dominanti a scapito dell'oligarchia tradizionale, a stabilire rapporti più distesi ed attivi con le masse o strati impor-tanti di queste. L'esperienza-pilota in materia fu il regime militare imposto in Perù da Velasco Alvaredo a partire dall'ottobre 1968.
Il successo relativo del regime peruviano, combinato con le impasse e i falli-menti dei governi di altri paesi, favoriva il sor-gere di tendenze riformiste analoghe –militari o civili– in altri paesi anche se esse rimanevano allo stato potenziale. Grosso modo, queste correnti ponevano il problema della moderniz-zazione delle strutture agricole attraverso riforme agrarie dirette contro i gruppi più conservatori di proprietari terrieri e miranti alla formazione di strati di medi e piccoli contadini proprietari, auspicavano uno spostamento più sostanziale di capitali verso l'economia industriale e urbana in generale, volevano strappare al dominio diretto dell'imperialismo i settori tradizionali delle materie prime, favorendo d'altra parte la “collaborazione” in settori industriali definiti moderni, erano sostenitori del rafforzamento dell'intervento economico dello Stato, al quale attribuivano un ruolo sempre più marcato di stabilizzatore. Un tale orientamento rendeva possibile, ai loro occhi, un miglioramento dei rapporti con le masse che, nei limiti previsti, avrebbero avuto un loro ruolo nel sostegno dei nuovi regimi contro le resistenze e i contrattacchi degli “ultras”.
Gli avvenimenti cileni di questi ultimi anni si inseriscono in questa tendenza più generale. Non si può dimenticare che lo stesso regime di Frei fu all'origine un'esperienza riformista che si sforzava di modernizzare le strutture socioeconomiche, in particolare con una riforma agraria e col rafforzamento del ruolo dello Stato, e di rendere durevole l'arretramento dei vecchi strati dirigenti oligarchici. In senso generale, dunque, esiste una continuità tra il governo dell'UP e il governo che l'ha preceduto, e non è per caso che nel periodo precedente il 4 settembre, settori dell'UP e della DC non escludessero di presentare un candidato comune e la DC avanzasse un programma che aveva delle analogie con quello del fronte allendista. Cosa ancor più significativa: il nuovo presidente non ha presentato un nuovo progetto di riforma agraria, limitandosi ad applicare la riforma adottata da Frei.
La natura essenzialmente riformista del governo Allende deriva, d'altra parte, dal programma elaborato prima e dopo le elezioni. Questo programma prevede, fondamental-mente, il completamento della riforma agraria democratico-cristiana, la soppressione dell'in-fluenza imperialista diretta sullo sfruttamento delle materie prime, la statalizzazione di una serie di settori industriali, la nazionalizzazione delle banche. Ora, se questo programma venisse interamente applicato, le strutture dell'economia cilena verrebbero profondamente mutate e si produrrebbero di conseguenza importanti modifiche nei rapporti di forza tra le classi, nella partecipazione al reddito nazionale, nel ruolo giocato dalle differenti forze a livello di organismi politici. Ma ciò non implicherebbe un salto qualitativo: il Cile non cesserebbe di essere un paese a regime capitalista, dominato dalla legge del profitto, e sempre integrato nel sistema mondiale dell'imperialismo. Nelle campagne sorgerebbe un'agricoltura sempre più caratterizzata da imprese capitaliste e da strati di contadini piccoli e medi che, avendo ricevuto la terra, costituirebbero un elemento stabilizzatore, perlomeno a breve e medio termine. La borghesia industriale resterebbe ancora la classe economicamente più forte e più dinamica: potrebbe conservare ed anche rafforzare i suoi legami con il capitalismo internazionale e, in ultima analisi, diverrebbe la principale beneficiaria del nuovo equilibrio economico e politico della razionalizzazione del sistema, anche per la presenza di un settore molto importante controllato dallo Stato.
Il mantenimento delle strutture economiche di base del capitalismo sarebbe tanto più garantito in quanto l'UP non solo ha lottato per la presidenza sul terreno strettamente elettorale, ma si è anche impe-gnata ad operare nel quadro dell'apparato dello Stato preesistente (parlamento, apparato amministrativo, organismi di controllo costitu-zionali, polizia, esercito). Per questo, dopo tutto, Alessandri e Tomic[1], che esprimevano all'epoca la quasi totalità degli elettori borghesi, hanno accettato di sottoporsi al verdetto elettorale e di permettere l'elezione di Allende (le frazioni favorevoli al colpo di Stato non rappresentarono se non minoranze molto limitate, anche nell'esercito).
Se gli avvenimenti cileni si inseriscono in un contesto più generale di tendenze analoghe già operanti o potenziali in altri Paesi dell'America Latina, essi sono tuttavia contras-segnati da tratti specifici molto importanti che differenziano nettamente il regime di Allende da qualsiasi altro regime latino-americano.
In primo luogo, mentre in Perù il riformismo è opera di una direzione militare, avendo l'esercito sostituito i partiti borghesi tradizionali a livello della direzione politica, in Cile questa direzione appartiene a una coali-zione, la cui base è essenzialmente operaia, contadina e popolare ed in cui i due partiti operai hanno una predominanza incontestabile. Il riformismo, dunque, si realizza sotto l'egemonia di una burocrazia operaia.
Il problema è quello di sapere se il governo Allende è un governo di fronte popo-lare, nel significato tradizionale del termine. Alcuni hanno sottolineato che la borghesia in quanto tale, che si esprime politicamente attraverso la DC e, in misura minore, attraverso il Partito nazionale, non è direttamente rappresentata dal governo. Ma anche facendo astrazione dal fatto che almeno uno dei partiti di coalizione fu tradizionalmente un partito borghese, l'influenza della borghesia si esercita in particolare per l'intermediario dei partiti piccolo-borghesi presenti sia nell'UP che al governo. Inoltre Allende deve negoziare conti-nuamente col blocco parlamentare di maggio-ranza, il cui asse è la DC, che ha permesso la sua elezione e può paralizzare in ogni momento la sua azione. Infine, ed è l'elemento decisivo, la natura di collaborazione di classe della coali-zione è determinata dalla sua accettazione del quadro fondamentale del sistema, del meccani-smo di base dell'economia capitalista e dell'ap-parato statale borghese.
Una tale caratterizzazione non deve portare né all'identificazione del movimento di massa con la coalizione stessa, e neppure a semplificare troppo il problema dei rapporti tra Allende e le masse. La vittoria di Allende fu la conclusione di una lunga storia di dure lotte, di molteplici vicissitudini, di tappe di maturazione in profondità di un proletariato tra i più antichi e più omogenei dell'America Latina. Agli occhi degli operai, dei contadini, degli strati sotto-proletari delle bidonvilles il risultato del 4 settembre rappresenta una vittoria sulla borghesia, uno storico passo avanti nella lotta per l'eliminazione dello sfruttamento capitali-stico, ed esprime un nuovo rapporto di forze, più favorevole che in passato alle masse. Tutto ciò si è tradotto in un'ascesa straordinaria, un'ampia mobilitazione della classe operaia e dei contadini, una radicalizzazione degli strati della piccola borghesia, una politicizzazione dei settori sottoproletari delle grandi città. Parallelamente a questa mobilitazione, e come suo risultato, si è prodotta una maturazione senza precedenti in larghi settori d'avanguardia che, di fronte alle necessità politiche immediate, sono stati condotti a porsi i proble-mi essenziali della strategia rivoluzionaria e della fase di transizione dal capitalismo al socialismo.
Una delle tendenze fondamentali della situazione cilena risiede nel fatto che, nella sua mobilitazione, il movimento di massa si è scontrato e si scontra inevitabilmente con i limiti del riformismo e della collaborazione di classe auspicati da Allende. È questo fattore che, in ultima analisi, provoca i più acuti conflitti e allarma la borghesia e l'imperialismo, i quali, temendo ulteriori sviluppi, si pongono il problema dell'inevitabile scontro.
In altri termini, la borghesia era disposta ad accettare ed anche a stimolare un'operazione riformista, di cui essa comprendeva la necessità e che, dopo il fallimento di Frei, non poteva essere tentata che sotto la direzione dei partiti operai, Ma essa ha paura della dinamica di un movimento di massa che potrebbe travalicare il quadro riformista, aprendo una vera e propria crisi rivoluzionaria e ponendo all'ordine del giorno il problema del potere. Così come l'imperialismo, essa teme anche che la dinami-ca cilena introduca un fattore esplosivo su scala continentale e dia impulso a nuove ascese del proletariato e dei contadini.