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La lezione di una sconfitta tragica

Per tre anni i partiti comunisti e socialisti di tutto il mondo avevano esaltato l'esempio cileno come una conferma della validità delle loro teorie sul passaggio al socialismo. La tragica conclusione della vicenda di Unidad Popular e della presidenza di Allende comportano una serie di lezioni capitali. Per la verità tali lezioni venivano da innumerevoli esperienze precedenti, segnata-mente latino-americane, dall'abbattimento del regime Arbenz tramite un esercito mercenario nel 1954 in Guatemala, al colpo di Stato alimentato dagli imperialisti e dai gorilla brasiliani, che ha portato al potere Banzer due anni fa in Bolivia. Il fatto che siano state ricavate solo da avanguardie ristrette, incapaci di influire sul corso degli avvenimenti, è stato pagato dal proletariato cileno a un prezzo straordinariamente alto. È dovere dei rivoluzio-nari far sì che almeno il sacrificio eroico di tante migliaia di operai e militanti non risulti vano e che sia definitivamente lacerato il velo delle mistificazioni riformiste e opportuniste ancora imposte dagli apparati burocratici tradizionali.

Gli avvenimenti cileni degli ultimi tre anni dimostrano quanto sia illusoria, dal punto di vista sia dei fondamenti oggettivi sia delle possibilità politiche, la prospettiva di una fase democratica, antioligarchica e antimperialista cui la borghesia o suoi settori importanti sarebbero interessati e alla cui realizzazione potrebbero, dunque, contribuire.

Nessuna borghesia può andare al di là di riforme del tutto limitate, che non ledono affatto gli interessi fondamentali dell'imperiali-smo e, per di più, è disposta a porsi su questo piano solo a condizione di avere la garanzia assoluta di controllare rigorosamente il proces-so e di poter soffocare ogni dinamica autonoma del movimento di masse (il regime militare peruviano è a proposito un esempio da manuale).

Gli avvenimenti cileni dimostrano che il riformismo, anche in condizioni per molti aspetti favorevoli, giunge rapidamente a un vicolo cieco, perché le stesse riforme realizzate rischiano di essere rimesse in discussione o di essere svuotate del loro contenuto qualora non vengano generalizzate, e generalizzarle signifi-ca giungere inevitabilmente alla soglia che non si può superare senza mettere in discussione il meccanismo della società capitalista in quanto tale.

Le misure parziali ledono molteplici interessi senza sradicarli e quindi alimentano inevitabilmente reazioni da parte di forze tuttora dotate di ogni sorta di risorse e di alleanze. Ancora una volta si è avuta la prova che è impossibile guadagnare l'alleanza della piccola borghesia se si mantiene un atteggia-mento conciliante, se non si offre una prospetti-va anticapitalista, se non si combattono nel modo più deciso le manovre delle classi dominanti.

Gli avvenimenti cileni dimostrano l'assurdità dell'ipotesi di un possibile passaggio al socialismo senza infrangere l'apparato statale complessivo che le classi dominanti hanno concepito e articolato nel modo più efficace per assicurare in definitiva la prosecuzione del loro sistema di sfruttamento e di oppressione. Non si tratta di negare l'uso tattico di possibilità legali, o la valorizzazione di circostanze eccezionali come quella prodottasi il 4 settembre in Cile. Si tratta di comprendere la perentoria e improrogabile necessità di costruire, in una situazione di ascesa rivoluzionaria delle masse, organismi rivolu-zionari di democrazia proletaria, elementi potenziali di un dualismo di poteri, strumenti della lotta per la conquista del potere ed embrioni delle strutture politiche qualitativa-mente nuove dello Stato operaio sorto dalla vittoria della rivoluzione.

I riformisti cileni hanno sistematica-mente negato questa necessità, si sono accontentati di promuovere organismi dalle funzioni limitate e privi di una reale autonomia rispetto agli organismi “costituzionali” dello Stato. Gli operai, sopratutto nel corso dell'ultimo anno, hanno riscoperto, sotto lo stimolo di drammatiche esperienze, queste esigenze fondamentali e hanno dato vita a organismi ricchi di potenziale rivoluzionario come i cordones industriales. Ma le loro iniziative sono sorte troppo tardi, non sono state generalizzate, peggio, sono state molte volte svuotate del loro contenuto dalle manovre della burocrazia, decisa a togliere ai cordones la natura di organismi di democrazia proletaria, embrioni di soviet cileni, e a inserirli, dopo averli devitalizzati, nella sua strategia rifor-mista costituzionalista.

Gli avvenimenti cileni hanno, infine, ancora una volta, dimostrato che affermare la possibilità di rovesciare il potere capitalista senza violenza rivoluzionaria, senza lotta armata, è la più vergognosa mistificazione o la più suicida delle illusioni.

Comprendere che, quando si giunge al momento dello scontro cruciale per il potere, il conflitto armato, quali ne siano le forme specifiche, è comunque inevitabile e che, per riprendere le parole di Lenin, “la questione militare diventa la questione politica centrale”, è una primordiale necessità.

La classe operaia deve sistematicamente prepararsi a una prospettiva di questo genere, respingendo ogni illusione spontaneista e comprendendo la necessità di un'azione centra-lizzata anche su questo terreno. Deve capire che una linea puramente difensiva è votata al fallimento, e che, quando si avvicinano le scadenze decisive, bisogna togliere l'iniziativa all'avversario.

L'esperienza di altri paesi, prima di tutto in America Latina –dall'invasione del Guatemala nel 1954, al colpo di Stato di Banzer in Bolivia nell'agosto del '72– ha scritto lettere di sangue –sangue di operai, contadini, studenti– la lezione che la classe operaia deve considerare come suo compito fondamentale la propria difesa armata, rifiutando ogni illusione che, in ultima analisi, non sarebbe altro che una fiducia aberrante nella “buona volontà” dell'avversario. Attualmente, tenendo conto soprattutto della natura del governo, dei rapporti tra la coalizione dell'U.P. e la grande maggioranza delle masse, il compito da portare a termine è l'armamento degli operai e dei contadini, la formazione di strumenti politici e militari di autodifesa, la creazione di vere e proprie milizie operaie, la propaganda tra i soldati. Non prendere alcuna iniziativa in questa direzione significherebbe in pratica puntare sulla “lealtà democratica” dell'esercito e dei corpi di repressione specia-lizzati, essere incapaci di rispondere ad un bisogno sentito da settori di masse sempre più ampi, molto sensibilizzati dagli avvenimenti boliviani. Le proclamazioni di Allende che l'U.P. opporrebbe all'eventuale violenza reazionaria la violenza rivoluzionaria non sono altro che chiacchiere demagogiche, nella misura in cui esse non hanno alcuna implicazione pratica. Non è possibile abbandonarsi allo spontaneismo e alle improvvisazioni, ma occorre creare fin d'ora gli strumenti necessari per evitare che il nemico di classe si trovi in condizioni materiali di schiacciante superiorità al momento dell'inevi-tabile scontro.

Contro ogni eventuale speculazione, i marxisti rivoluzionari sottolineano che non è contro Allende ma contro le minacce della destra e per rispondere ad ogni attacco dell'ap-parato repressivo borghese che gli operai e i contadini pongono all'ordine del giorno il problema cruciale del loro armamento. Va da sé che nell'ipotesi di un rovesciamento della situazione, di uno sbocco alla boliviana, il problema della lotta armata dovrebbe essere riesaminato e si porrebbe sotto le forme analoghe a quelle che già si impongono in altri paesi dell'America Latina.

I riformisti cileni hanno contestato queste elementari verità. Il fatto che molti di loro siano caduti non annulla né attenua la loro schiacciante responsabilità storica. L'assenza di un partito rivoluzionario, con un'influenza egemone al livello di massa si è rivelata, ancora una volta, l'elemento decisivo della sconfitta del proletariato.

 

 

Battersi contro la dittatura militare! Organizzare la solidarietà internazionale militante!

Un colpo di Stato militare in una situazione come quella cilena degli ultimi mesi, non poteva imporsi a freddo o con un'azione repressiva limitata. Tutto autorizzava l'ipotesi di una coraggiosa e tenace resistenza del proletariato, e non era neppure del tutto escluso che settori dell'esercito –composto alla base da figli di operai e contadini che prestano servizio militare obbligatorio– si ribellassero ai coman-danti e agli ufficiali reazionari, mettendo in moto una dinamica di guerra civile vera e propria.

La resistenza si è eroicamente svilup-pata e non è tuttora soffocata. Le ultime notizie sembrano invece indicare che la seconda ipote-si non si è realizzata in misura tale da creare le premesse di una guerra civile.

Una cosa è certa: il problema della lotta contro la dittatura militare è ora all'ordine del giorno e le avanguardie rivoluzionarie hanno il compito di operare il più rapidamente possibile la svolta necessaria. Il problema della lotta armata non si pone più nei termini in cui si era posto dal settembre '70 sino ai giorni scorsi. L'impostazione precedente, centrata sull'arma-mento delle masse, continuerebbe ad essere fondamentalmente valida nell'ipotesi che lo sbocco fosse la guerra civile con l'occupazione da parte di forze operaie e contadine di alcune zone del paese. In questo caso la parola d'ordine dei rivoluzionari nel mondo dovrebbe essere quella della costituzione di brigate internazionali per il Cile.

Su scala mondiale è in ogni caso necessario promuovere una campagna di attiva solidarietà che deve riallacciarsi alle migliori tradizioni delle mobilitazioni per il Vietnam. Il Cile operaio deve essere difeso dalle barbarie dei golpisti e dei loro padroni borghesi “nazionali” e degli imperialisti americani e dei loro alleati.

 

Per la solidarietà immediata, massiccia, militante con il proletariato cileno!

Fermiamo la mano agli assassini criminali!

Esigiamo la restaurazione dei diritti elementari del popolo cileno!

Esigiamo la liberazione immediata di tutti i detenuti politici!

Difendiamo il diritto di asilo dei rifugiati politici di altri paesi latino-americani e il loro diritto di raggiungere un altro paese a loro scelta qualora lo desiderino!

Aiutiamo politicamente e materialmente la resistenza eroica degli operai cileni!

L'imperialismo e la borghesia “nazionale” si rallegrano cinicamente per il colpo che hanno inflitto agli operai e ai contadini cileni, a tutto il movimento operaio e contadino latino-americano e internazionale. Ma l'enormità del crimine e l'eroismo dei resistenti avranno ripercussioni incalcolabili. Gli avvenimenti del Cile peseranno sulla maturazione della coscienza rivoluzionaria quanto hanno pesato la criminale guerra imperialista e l'eroica lotta popolare in Indocina. Il capitalismo finirà col pagare il suo successo attuale –storicamente effimero– con un più drammatico acuirsi delle sue contraddizioni.

 

 

 

15 settembre 1973. Risoluzione dl Segretariato Unificato della Quarta Internazionale

 

 

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