Il peso del proletariato nelle lotte sociali e politiche non si riduce ad una questione quantitativa, come sottolineava Marx nella sua distinzione ben nota tra «classe in sé» e «classe per sé», ricordata da Ugo Palheta nel suo articolo [1]. Tuttavia, è utile un esercizio, sia pur molto approssimativo, di quantificazione. Il marxista e dirigente dello SWP britannico, Chris Harman, ci si era dedicato [2] partendo dai dati della Banca mondiale del 1995. Adoperando cifre più recenti [3], abbiamo cercato di aggiornare i suoi risultati. Secondo la Banca mondiale, il numero totale di persone che esercitano un lavoro remunerato nel mondo supera i tre miliardi nel 2012. 1,6 miliardi sono salariati e 1,5 miliardi agricoltori o imprenditori (dall'artigiano fino al dirigente d'impresa). La proporzione di salariati varia notevolmente secondo i settori economici: il salariato è minoritario nell'agricoltura (a volte con situazioni miste: proprietari di un fazzoletto di terra sono occupati anche da salariati) e maggioritario negli altri settori (ma non in tutte le regioni del mondo). Chris Harman considerava che un 10% delle persone che ricevono una paga non erano lavoratori veri. Alcuni salariati sono infatti elementi della borghesia (quadri molto superiori), mentre altri sono pagati essenzialmente per controllare la massa dei lavoratori. Sarebbe troppo complesso discutere queste ipotesi, ma appare ovvio che una frazione dei salariati occupa nelle imprese e nelle amministrazioni posizioni che la distinguono dagli altri lavoratori. Sceglieremo quindi di mantenere questa riduzione di circa il 10%. Il numero di lavoratori salariati (di proletari) sarebbe quindi in totale di circa 1,4 miliardi. Bisogna notare che questa cifra è oggi il doppio di quella calcolata da Chris Harman per il 1995 (dell'ordine di 700 milioni). Più del 60% fra loro sono impiegati nei servizi e nelle amministrazioni, mentre il rimanente rientra essenzialmente nel settore dell'industria. Queste cifre devono essere considerate soltanto come ordini di grandezza. Sono viziate da due limiti: statistico e sociopolitico. È particolarmente il caso dell'agricoltura. In questo settore, spesso gli statuti sono mescolati (una parte importante di contadini dei paesi poveri cumula lavoro salariato e lavoro sul suo fazzoletto di terra); i mezzadri , che costituiscono una parte importante dei contadini in vari paesi, non sono salariati ma sono ugualmente lavoratori sfruttati le cui mobilitazioni sono state importanti e a volte lo sono ancora. Chris Harman sottolineava infine che se si vuole apprezzare il peso del proletariato nella popolazione mondiale, non si devono prendere in considerazione le sole persone occupate; conviene aggiungerci i congiunti dei lavoratori, i lavoratori in pensione, ecc. Ne concludeva che «chiunque crede che si possa dire “addio proletariato” non vive nel mondo reale». [4]
Henri Wilno
[1] V. su ESSF (articolo 31178), Le prolétariat comme sujet politique : déclin, métamorphoses ou éclipse ? [il proletariato come soggetto politico: declino, metamorfosi oppure eclissi?]
[2] Chris Harman, « The Workers of the World », International Socialist journal, autumn 2002, http://www.marxists.org/archive/har....
[3] Banca mondiale, Relazione sullo sviluppo nel mondo, 2013.
[4] « Adieu au prolétariat » [Addio al proletariato] è il titolo di un'opera di André Gorz pubblicata nel 1990, ma Harman mirava anche a vari autori, in particolare Michael Hardt e Antonio Negri con il loro concetto di «moltitudine». * Pubblicato nella rivista L’Anticapitaliste n°50 (gennaio 2014). http://npa2009.org/