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E’ uscito il secondo numero del volantone / giornale di Sinistra Anticapitalista. Lo troverai nei circoli e nelle iniziative dell’organizzazione, oppure puoi scaricarlo in formato PDF (12 pagine, circa 16 MB) per leggerlo sul tuo computer.

 

Editoriale

Berlusconi è stato allontanato dal Parlamento, ma la sua influenza politica negativa e quella di Forza Italia continuerà e soprattutto le politiche dell’austerità e dell’attacco alle condizioni di vita delle masse popolari, non sono certo finite; continuano

come prima attraverso l’azione del governo Letta, Alfano, Napolitano.
La cosiddetta legge di stabilità e i decreti ad essa collegati in discussione in questi giorni in Parlamento non solo non cancellano nessuna delle vergognose leggi precedenti, dalla distruzione della previdenza pubblica alle norme sulla precarietà del lavoro, dall’aumento dell’IVA alla privatizzazione dei servizi e al massacro della sanità e della scuola, ma tagliano ancora una volta massicciamente la spesa pubblica e sociale, introducono varie forme di imposizione fiscale a scapito della classi popolari preparando una massiccia svendita dei beni pubblici a vantaggio dei capitalisti e di coloro che dispongono di cospicue ricchezze, molte volte accumulate con l’evasione fiscale.
La discussione in corso non è se prendere i soldi nel grosso sacco dei padroni o in quello ben più ridotto dei lavoratori;  ma solo su come alleggerire ulteriormente il sacco delle classi popolari.
Dicono che queste misure sono necessarie per pagare il debito e prima ancora gli interessi del debito che ammontano ormai a quasi 90 miliardi di euro annui. Ma chi sono i beneficiari di questi giganteschi interessi finanziari? Sono le banche, gli speculatori e più in generale i capitalisti monetari. Le politiche dei tagli e dell’ austerità attuate dal governo per pagare questo debito, (non certo fatto dai lavoratori), non sono altro che una gigantesca redistribuzione della ricchezza effettuata dallo stato (al contrario di quanto faceva Robin Hood) dalla povera classe lavoratrice, che contribuisce per l’80% al pagamento dell’IRPEF, a vantaggio della ricca classe dei padroni.
Non è possibile concepire una politica economica alternativa senza stravolgere questa vera e propria rapina che gli uomini del governo e del parlamento realizzano a favore dei loro mandanti, cioè i capitalisti.
Negli ultimi mesi ci sono stati molti episodi di mobilitazione e di lotta che indicano che, se pure ancora con difficoltà, diversi settori popolari e di lavoratori non vogliono più accettare passivamente questa situazione, ma cominciano a rialzare la testa e a mobilitarsi.
C’è stato lo sciopero del 18 ottobre dei sindacati di base, poi la grande manifestazione del giorno successivo per il diritto alla casa e dei movimenti sociali, poi ancora le manifestazioni di Napoli e della Val Susa contro la devastazione ambientale ed ecologica, lo sciopero molto riuscito dei lavoratori bancari ed assicurativi e gli scioperi nella logistica; molte altre lotte per l’occupazione e la difesa del reddito si sono poi espresse nel paese. Lo sciopero fantasma delle grandi organizzazioni sindacali “contro” la finanziaria, è stato concepito dai loro gruppi dirigenti in forme tali da non avere alcun impatto reale; i burocrati sindacali sono infatti  completamente complici del governo e della stessa Confindustria.
Ma soprattutto ci sono state le 5 giornate di Genova che hanno aperto un altro scenario di lotta e dimostrato le potenzialità enormi di cui la classe lavoratrice dispone se mette in campo tutta la sua forza con scioperi prolungati.
Per riprendere quanto hanno scritto i nostri compagni di Genova, i tranvieri di quella città hanno saputo osare “disobbeddendo” per ben cinque giorni di fila alla legge antiscioperi e resistendo alla precettazione che gli imponeva il Prefetto.
Ringraziamo questi lavoratori perché hanno mandato un messaggio semplice ma importantissimo alle masse popolari di questo paese: è possibile non chinare la testa, uscire insieme dalla rassegnazione, aprire un’altra prospettiva.
Di più, questa lotta ha indicato che è possibile tenere insieme diversi elementi, in questo caso difesa delle condizioni salariali e di lavoro e difesa dei beni comuni, che invece spesso i nostri avversari di classe tendono a dividere se non a contrapporre (ambiente/lavoro; salute/lavoro; lavoratori/utenza; ecc.).
Hanno anche fatto piazza pulita sulla vacuità di certe teorie sulla “fine del movimento operaio” o altre simili. E’ bastato che in una grande città un po’ più di 2.000 lavoratori e lavoratrici, tipicamente “novecenteschi”, si muovessero nella maniera determinata che abbiamo visto perché il loro messaggio diventasse un’indicazione concreta di rivolta e ribellione al potere per tutti e per lo spostamento di rapporti di forza. Ciò è determinato dalla forza strutturale e contrattuale che, al di là degli attuali livelli di coscienza di questa forza, la classe lavoratrice ha, nella possibilità di bloccare gli ingranaggi del sistema produttivo, in questo caso nella produzione di servizi, forza che se esercitata consente immediatamente di indicare una prospettiva generale e di raccogliere intorno a sé altri comparti e settori delle masse popolari. Ed infatti se pure in forme ancora parziali la lotta si è allargato anche ad altre aziende collegate.
La forma di lotta che si è concretizzata, lo sciopero generale a oltranza o comunque prolungato, con le decisioni che vengono assunte nell’assemblea dei lavoratori, è un’altra forte indicazione che dovrebbe diventare punto di riferimento, anche rispetto agli “scioperini” a cui siamo abituati. Questa forma di lotta è però possibile se vengono strutturate e consolidate vere e proprie casse di resistenza. E’ una questione che deve essere discussa nelle diverse organizzazioni sindacali e di massa che si pongono il compito di allargare le resistenze.
I compiti per una forza anticapitalista e rivoluzionaria, ma anche per tutte/i le /i militanti di classe sono dunque estremamente semplici e terribilmente difficili nello stesso tempo: provare a unire quello che le forze borghesi dividono, cioè lavorare per una mobilitazione unitaria del proletariato, cioè di  tutti i settori sociali, compresi i disoccupati, della classe lavoratrice.
La dinamiche di lotta che si sono manifestate negli ultimi due mesi offrono nuove potenzialità positive: bisogna utilizzare la forza propulsiva di queste mobilitazioni per individuare altri momenti di lotta, per definire obbiettivi e contenuti che convincano e spingano settori sempre più ampi di lavoratori a marciare insieme contro i padroni e il loro governo. Occorre favorire la massima partecipazione, la democrazia più larga per decidere insieme contenuti e forme di lotte, cioè per costruire l’autoorganizzazione democratica dei movimenti sociali e di classe.
Per cambiare i rapporti di forza, per mettere in difficoltà le forze borghesi politiche ed economiche, è necessario che settori sempre più ampi, dai metalmeccanici, alle lavoratrici/tori del commercio, all’insieme di coloro che operano nei servizi, nelle banche, nei trasporti, insieme ai tanti precari tornino a scioperare massicciamente e lottare riscoprendo il valore e la forza dell’azione collettiva. E lo sciopero per incidere non può essere dimostrativo, ma deve bloccare le attività produttive e prolungarsi anche nel tempo, cioè essere vero sciopero generale.
Gli obbiettivi  della lotta sono semplici: difendere il lavoro e garantire a tutti un reddito e i servizi sociali.
Per garantire il lavoro bisogna distribuire il lavoro esistente tra tutti quelli che ne hanno bisogno a parità di salario e un piano di intervento pubblico per garantire la continuità produttiva delle aziende e la creazione di nuovi posti di lavoro. Per questo è necessario lottare per la nazionalizzazione delle aziende che chiudono o trasferiscono altrove le produzioni,
Per garantire il reddito serve la rivalorizzazione del contratto nazionale, un salario minimo intercategoriale, un salario sociale per i periodi di disoccupazione.
Per garantire servizi di qualità per tutti a partire da sanità, scuola e trasporti, bisogna impedire le privatizzazioni e imporre una spesa pubblica che ne garantisca i finanziamenti. I soldi ci sono basta prenderli dove ci sono, cioè nel ricco sacco dei padroni e dei finanzieri.

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