presentazione dei due testi e un dibattito serio, sviluppato senza il ricatto dell’apparato sindacale, i pronunciamenti dei lavoratori sono molto incoraggianti, già preannunciati da significative adesioni al documento (segnaliamo in particolare quelle di Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, licenziati per rappresaglia da Marchionne e poi reintegrati dal giudice alla Fiat di Melfi): alla Perini di Lucca il documento n. 2 vince con l’88% dei voti, altrettanto alla Avio di Rivalta torinese (una delle più grandi fabbriche del territorio torinese), così alla Sirti di Roma, alla Marcegaglia di Lecco, alla Bticino di Teramo e alla Necta di Bergamo. Ovviamente i buoni risultati non si registrano solo tra i metalmeccanici: ad esempio nella Filctem il documento n. 2 prevale alla Rodel e alla Invatec, entrambe di Brescia, al colorificio Baldini di Lucca.
Ma risultati altrettanto positivi si registrano tra i lavoratori della Funzione pubblica, come all’Arpa e all’Agenzia delle entrate di Torino o al Don Gnocchi di Milano, solo per citarne alcuni.
Qualche risultato positivo perfino tra i pensionati, la categoria che storicamente esprime la maggiore fedeltà alla maggioranza confederale e alla subordinazione della Cgil alla politica del PD: il documento 2 prevale in non pochi congressi di lega, dal 57% del Sindacato pensionati di Palazzolo presso Bergamo all’87% dello SPI di Sinnai in provincia di Cagliari.Risultati riassuntivi giungono per il momento solo da qualche centro: dal 40% raccolto finora in tutta la camera del lavoro di Trieste al 25% di Pisa, al 40% di Perugia, al 50% nella FLC di Rimini.
Il problema è che nella maggior parte dei congressi di base la gestione del congresso impedisce ai rappresentanti del documento n. 2 di partecipare alle assemblee di base, che si svolgono alla presenza del solo portavoce degli apparati, cosa che consente ampie e a volte spudorate manipolazioni dei risultati, ai limiti del broglio e non raramente anche oltre quei limiti. Congressi convocati alla chetichella, impedimenti dolosi alla partecipazione del relatore di minoranza, deformazione delle posizioni di minoranza senza possibilità di contraddittorio, gestione monocolore delle operazioni di voto, nessuna registrazione dei votanti, presentazione di risultati sfacciatamente inattendibili nei quali il numero dei votanti (ovviamente tutti per il documento Camusso) è pari a quello degli iscritti, senza neanche fingere una minima percentuale di non partecipazione al voto, non foss’altro per malattia.
Questi risultati improbabili fanno a pugni con la realtà del radicamento della Cgil sul territorio e nei posti di lavoro, dove la fedeltà alla linea e, soprattutto, la partecipazione diretta è dichiaratamente in profonda crisi.
Così, ai risultati veri raccolti con impegno e con fatica dal documento di minoranza si contrappone il risultato irreale di altre assemblee di base. E il congresso che doveva essere di ascolto e di discussione con le lavoratrici e i lavoratori sulle domande che avrebbero voluto porre all’apparato si è scontatamente trasformato in un congresso che registra un consenso simulato e immaginario a quel gruppo dirigente.
Ma quel poco spazio che i media riservano al dibattito interno alla Cgil è completamente occupato dallo “scontro” Landini-Camusso attorno alla valutazione del “Testo unico sulla rappresentanza”, cioè dell’accordo interconfederale del 10 gennaio.
Effettivamente questo scontro è vicino ad arrivare al “calor bianco”, soprattutto per la violenza implacabile utilizzata dalla segretaria generale nel mettere alle corde e tentare di mettere KO il suo antagonista metalmeccanico.
Landini ha chiesto di sospendere la firma all’accordo e invece quest’ultima è stata solennemente avallata dal voto semiplebiscitario del direttivo confederale. Ha raccolto il dissenso della Fiom e Camusso l’ha deferito al Collegio di verifica per poter poi avviare un procedimento disciplinare, ha chiesto (così come prescritto dallo statuto) una consultazione formale degli iscritti interessati (cioè gli iscritti in aziende aderenti alla Confindustria) e la segreteria si appresta ad avviare una consultazione formale, ma tra tutti gli iscritti (pensionati compresi!) e non solo in merito all’accordo ma soprattutto sul modello di sindacato, cioè sulla domanda “state con me o con Landini?”.
Ma le sconfitte del leader dei metalmeccanici non si fermano qui: ha puntato tutte le sue carte su un congresso “unitario” e non è riuscito ad evitare che venisse presentato comunque un documento alternativo (quello intitolato “Il sindacato è un’altra cosa”), né soprattutto ha capito che che il XVII, proprio all’ombra del “documento unitario”, sarebbe stato oggetto dell’offensiva del gruppo dirigente confederale. Per distinguersi ha presentato degli emendamenti, sperando di conquistare una discreta rappresentanza negli organismi dirigenti, ma sono ben pochi i congressi di base dove questi emendamenti vengono messi ai voti e ancora meno quelli nei quali raccolgono un sostegno significativo.
Camusso deferisce Landini ai probiviri della Cgil e Landini va nei congressi di base a chiedere di votare il documento Camusso…
Avendo molte riserve sul comportamento sindacale e politico di Landini (in particolare da un paio d’anni a questa parte) potremmo gioire perché pare che la sua parabola nel firmamento del sindacato sembra volgere al termine. Ma in realtà anche le sconfitte che Landini sta accumulando stanno a testimoniare non solo la impotenza delle pratiche di posizionamento opportunista ma anche e soprattutto la drammaticità del deterioramento dei rapporti di forza sociali e politici.