1 Dicembre 2013 Formazione Torino Lavoro e Sindacato
Il colpo di stato di banche e governi
di Diego Giachetti
Infaticabile Luciano Gallino. A ruota, dopo Finanzcapitalismo (2011) e La lotta di classe dopo la lotta di classe (2012), il sociologo torinese propone Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa (Einaudi, 2013). Anche questo è un libro fuori dal coro accademico neoliberista, critico nella documentazione e nell’interpretazione del pensiero unico dominante, che poi è quello della classe

dominante, in un mondo dove si è avverata la funesta previsione di Herbert Marcuse contenuta nel titolo di una sua opera: L’uomo a una dimensione. Non è vittimismo. E’ di questi giorni la notizia che una ricerca dell’economista Jan in’t Veld è stata bloccata dalla Commissione Ue di Bruxelles per timore delle sue circostanziate critiche. L’autore arriva a due conclusioni: le politiche di austerità hanno avuto un pesantissimo impatto sulla crescita dell’Eurozona, hanno tagliato le gambe alla ripresa e approfondito la crisi.
Senso comune e buonsenso
Luciano Gallino va contro il senso comune propagandato dai mass media secondo i quali la crisi è un incidente di percorso sulla via luminosa del neoliberismo economico ed è dovuta alla spesa pubblica eccessiva degli Stati per sostenere la spesa sociale: di qui la richiesta di tagli e privatizzazioni (svendite). Non è così, il buonsenso manzoniano che ancora c’è - anche se spesso si nasconde timoroso dietro l’imperante senso comune- induce ad altre più sostanziali letture. La crisi è il risultato dell’accumulazione finanziaria del capitale, perseguita per reagire alla stagnazione economica verificatasi alla fine del secolo scorso. Le misure anticrisi adottate dai vari governi, con tagli e diminuzione della spesa pubblica, abbassamento dei salari, oltre ad impoverire larghi strati di popolazione, hanno contribuito a diffonderla, ad accentuarla, producendo una recessione generalizzata. Questa l’impostazione generale dell’autore, dimostrata e sostenuta nei vari capitoli del libro, a suon di dati, ricerche, ragionamenti logici e una necessaria messa punto della dinamica economico-finanziaria così come si è modellata nell’ultimo trentennio. I capitoli sono un intento d’analisi promesso e ampiamente mantenuto. Si va dall’accumulazione finanziaria come risposta alla stagnazione economica, alle diseguaglianze sociali come causa della crisi, a come gli Stati europei hanno liberalizzato la finanza e corteggiato il capitale, al ruolo della banche nella crisi, fino a un capitolo dedicato niente meno che al tema: «crisi di sistema o criminalità organizzata?»
Dalla crisi al colpo di Stato
Come promesso nel titolo del libro, la seconda parte è tutta dedicata al tema del colpo di Stato in Europa: attori e strumenti, dove con l’espressione colpo di stato intende che una parte che non ne avrebbe diritto si arroga poteri fondamentali attinenti alla sovranità costituzionale dello Stato. Si tratta di tutta una pletora di accordi, patti, contratti elaborati dal Consiglio europeo, formato da un ristretto gruppo di capi di Stato e di governo della Ue e dal presidente della Commissione europea, in collaborazione con la cosiddetta Troika (Ce, Bce, Fondo Monetari Internazionale). Sono loro che impongono la loro volontà agli stati nazionali con patti e trattati approvati in sede europea «a un ritmo tambureggiante che ricorda da vicino un colpo di Stato a rate». Il nostro compatriota Monti è uno degli esempi che si possono fare per illustrare un processo reale. Le corrispondenze tra il dettato europeo e le riforme del suo governo sono impressionanti: allungamento dell’età pensionabile, a cominciare da quella delle donne e tendenziale abolizione delle pensioni di anzianità; riforma del lavoro, secondo le indicazioni europee, prontamente trascritte dal Ministro Elsa Fornero. Mai nella storia della repubblica, scrive, si era vista una lettera inviata da un organismo europeo, non eletto da nessuno, che contenesse prescrizioni di riforme strutturali tanto particolareggiate e incisive, né si era visto un governo, appoggiato da centro destra e centro sinistra, adoperarsi per obbedire e attuarle, non appena ricevute. Si tratta di politici succubi al potere del sistema finanziario? Si e no. I politici, scrive, sono giunti a rappresentare concordemente entro i governi stessi gli interessi del sistema finanziario internazionale.
Il capitalismo si è “mangiato l’anima” dei lavoratori
L’attuale formazione economica capitalistica ha invaso e capitalizzato non solo l’Io del lavoratore, come era accaduto fin dai primi del Novecento, ma anche l’Es e il Super Io. Ha prodotto l’homo oeconomicus, una personalità nella quale tutti e tre gli elementi (Io, Es, Super Io) sono congruenti con le esigenze dell’economia. L’ideologia neoliberista ha dato un contributo notevole ponendo al centro della sua propaganda, la figura ideale dell’uomo come imprenditore, il cui agire si fonda sul calcolo, sulla razionalità strumentale, che è qualcosa di diverso dalla razionalità oggettiva, in quanto si basa sulla ricerca del soggetto dei mezzi idonei a conseguire un dato fine che reputa utile a sé. Un’ideologia di massa, condivisa dalle stesse forze politiche che ancora si dicono di sinistra, per cui oggi il neoliberalismo si configura come lo «Stadio supremo dell’egemonia delle classi dominanti», una dottrina costruita scientificamente «allo scopo di conquistare un’egemonia che non ammette discussione in ogni settore della società, espellendone ogni altra dottrina o visione del mondo». Essa è «la più grande forma di pandemia del XXI Secolo. E’ anche un grande pericolo per la democrazia». Per scuoterla a fondo bisognerebbe scardinare le basi strutturali del dominio del capitalismo finanziario. In altre parole «ci vorrebbe una rivoluzione», cominciando da uno sguardo critico che subito verificherebbe la nudità del neoliberismo, la sua fallacia. Ad esempio bisogna dire che è «l’occupazione che genera sviluppo, non il contrario, che la disoccupazione è uno spreco di risorse produttive con costi sociali altissimi, che si può realizzare la piena occupazione come fine, facendo attenzione a creare posti di lavoro non distruttivi per il sistema ecologico e per la società; ma per fare ciò occorre cambiare il modello produttivo.
(pubblicata su «Solidarietà», n. 20. 5 dicembre 2013)